Sinossi
Le cronache di un viaggio fantastico tra le terre di desolazione invase dalla nebbia, il lago Gerundo infestato dal drago Tarantasio e il Territorio d’Autunno colpito dalla siccità e dalla biligornia.
Il racconto di Tananai è l’avventura terribile di chi deve lasciare la propria casa per cercare fortuna, nella speranza di raggiungere il Bengodi. O semplicemente per crescere e diventare sé stessi. Molti sono i pericoli e i rischi che allontanano dalla Strada maestra. Tra la Ligera e la sua carovana di banditi; i Custodi del bosco e gli animali selvatici; anche la scoperta di un nuovo sentimento può fare paura.
Una ragazza misteriosa di nome Teodora gli rivelerà il potere di cambiare per sempre la storia del suo popolo, schiavo come lei della distruzione e dell’avidità del drago che inquina e imprigiona. Gian Bordone, detto Tananai, potrà dimostrare, con il suo coraggio e la sua ingenua onestà, di trasformarsi da giovane contadino in valoroso avventuriero. Oltre i confini della nebbia, oltre la biligornia e il drago-stregone.
Il volume contiene 20 illustrazioni originali a colori di Irene Disarò (Siddal) e 10 canzoni da ascoltare per entrare nel mondo di Tananai.
Anteprima
Capitolo IX – I Burdù ovvero il popolo della nebbia
Era un’antica usanza per gli abitanti di Fulkeria, conosciuti come i Burdù, donare forzieri d’oro e monili sfarzosi al re della palude. In cambio il signore degli acquitrini riusciva a placare la sua ira devastatrice, risparmiando il regno di Fulkeria dal fuoco e dalla distruzione, che erano lo scopo della sua esistenza. Non si conosceva di preciso la provenienza di quel mostro, o come nacque, ma quel che si sapeva era soltanto che prendeva la sua forza dallo sconforto, dalla malinconia più buia e dalla tristezza senza speranza degli esseri umani.
I Burdù erano il popolo della nebbia, e tante volte questa era così spessa che non permetteva di distinguere le acque acquitrinose con la terra argillosa della loro isola. Questo popolo di antichi pescatori, si erano trasformati nei secoli in orde di banditi e razziatori di villaggi che spargevano a destra e a manca il loro burdel. Infatti, per evitare di venire rasi al suolo dal drago, avevano cominciato a praticare incursioni nei territori vicini, per derubarli di tutti i tesori in loro possesso, e offrirli al drago. Ma più che temibili ladroni essi sembravano più dei cenciosi mendicanti, malconci e squinternati come i territori che avevano impoverito.
I regni più lontani di cui erano a conoscenza a furia di venire depredati, erano rimasti senza più un grammo d’oro da offrire al drago. Il Guardiano della palude, lungo nove pertiche e alto quattro, venne a reclamare la sua tassa, mentre i burdù disperati, lo scongiuravano di non distruggerli, o almeno di risparmiare i loro figli.
“Non ci sterminare, per favore! Chiedici qualsiasi cosa che sia nelle nostre possibilità e noi la esaudiremo!” scongiurarono.
Il drago, che era avido di nuove offerte, rispose:
“Se volete salva la vita, insieme alle vostre case, dovrete darmi la prima figlia del re! Lei rimarrà per sempre con me. Le sarà concesso di tornare a Fulkeria solo una volta all’anno, allo spuntare del nuovo sole, fino al primo raccolto.” Decretò il drago.
La primogenita del re di Fulkeria si chiamava Teodora ed era una giovanissima ragazza bruna che sapeva cavalcare i migliori cavalli e tirare con l’arco. Il re e la regina piangevano, ma donarla al drago era l’unico modo per salvare il loro regno.
La mandarono a prendere contro la sua volontà e la condussero al cospetto del mostro della palude, legata da una lunga corda d’argento per non farla fuggire.
“Passerai ogni estate, ogni autunno e inverno della tua vita nella palude del drago e lo servirai in tutte le sue volontà.” Le annunciò il re trattenendo le lacrime.
“Tornerai a Fulkeria ad annunciare la nuova primavera con il nuovo sole. Raccoglierai con noi le provviste per il nuovo anno fino alla mietitura del grano. Ma per nove mesi giacerai per sempre nell’oscuro regno delle acque, a rispettare il patto mortale.” Tutti piangevano perché non volevano che se ne andasse.
Capitolo XIV – Il serpente alato e l’albero della Cuccagna
Teodora correva col suo mantello bianco verso i palazzi di cemento che circondavano il centro del Bengodi. C’erano fabbriche efficienti e grandi negozi. Nelle vetrine di questi immensi bazar si esponevano animali veri e cartelli con scritto ‘Vendesi’. Cavalli e asini di ogni genere avevano la scritta ‘Consegna veloce’, poi orsacchiotti vivi e scimmie da compagnia. Erano tutti donne e uomini trasformati dalla magia del drago. Gli unici animali che non venivano esposti o che non erano messi a lavorare erano i ratti che rovistavano nell’immondizia.
Sentirono le ali del drago sbattere e oscurare le fioche luci della città.
“Presto Tananai!” lo chiamò mentre il drago, avvicinandosi inesorabilmente, sputava fuoco sbavando petrolio, con gli occhi fiammeggianti di rosso e di blu elettrico.
Il contadino fece uno scatto da centometrista, e in un lampo fu al suo fianco. Ad ogni passo lei scuoteva i foltissimi capelli. Si guardarono con intesa e un po’ di timore, ma più correvano insieme e più superavano la paura, lasciandola alle loro spalle.
“Ricordati di usare la tua fionda! È così che potrai abbattere tutte le illusioni che stanno in cima all’albero della Cuccagna. Senza di esse il drago diventa debole!” le disse ancora, schivando il fuoco proveniente dal cielo.
Avvicinandosi al centro del Bengodi riuscivano a nascondersi tra le case e i palazzi. Le persone mezze uomini e mezze animali, si prostravano a terra pregando il drago che volava nel cielo:
“Oh grande serpente alato che dal profondo ci odii, risparmia noi e il Bengodi!”
Il drago scese in fulminea picchiata, distruggendo un palazzo di vetro.
“Oh grande serpente alato, risparmiaci dal tuo fuoco e dal tuo palato!” supplicavano altri bengodesi dalla testa di struzzo.
Superando palazzi nei quali dimoravano uomini dalla testa di maiali e di tacchini, finalmente arrivarono ad un punto dove mirare ad una buona distanza l’albero della Cuccagna che era alto almeno quattrocento cinquanta piedi, ovvero molto di più del campanile della Mischerpa. Dietro di esso una grande diga di cemento custodiva l’acqua proveniente dalle montagne. Essa veniva distribuita solo alla città da parte dei seguaci del drago, appostati nei grandi palazzi.
Tananai non aspettò altro per estrarre la fionda, afferrò uno dei sassi di fiume che teneva sempre in tasca, prese la mira, e ZAM! Il lancio andò dritto verso la cima dell’albero gigante. La fionda, che aveva una gittata straordinaria, poiché era appartenuta all’Uomo Salvadego, colpì proprio una delle illusioni appese alla Cuccagna, che cadde come un caco maturo, spiaccicandosi sul pavimento lastricato, infiammandolo.
In un istante Tananai e Teodora sentirono odore di zolfo bruciato, ed ecco apparire davanti a loro, in tutta la sua cattiveria, lo stregone Tarantasio.
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