Anteprima
CAPITOLO 1 – LA VALLE DEI MANDARINI
“Mi dici una cosa bella?”
“Potrei raccontarti una lunga storia.”
“Sono grande ormai per ascoltare storie. Dai, dimmi una cosa bella.”
La piccola Filodora si sentiva cresciuta per dare ascolto a delle favole e questo era accaduto senza avviso, proprio nell’ora in cui è troppo tardi per giocare e troppo presto per andare a dormire. Il campanile della chiesa spuntava tra i tetti delle case del paese e, al suono di sei rintocchi, due maestose campane di bronzo, sfiorandosi tra loro, avvertivano gli abitanti che un altro giorno, ormai, stava per finire. Faceva freddo. Novembre bussava alle porte con i suoi capricci e, a volte, prepotenze. Il vento, quel giorno, piegava a terra ogni filo d’erba della Valle dei Mandarini e il suo soffio gelido e impetuoso agitava le bandiere annodate alle aste della Porta Vecchia, che sembrava sventolassero in aria per far festa all’intera piazza ovale dell’Anfiteatro. Qualche gatto si intrufolava tra gli angoli più nascosti nella speranza di rubacchiare del cibo e, mentre un signore ben vestito attraversava la piazza tenendo stretta sottobraccio un’ anziana signora, tre bambine giocavano a rincorrere un palloncino trasportato in aria dal vento. Il panettiere, nel frattempo, salutava un uomo che passava in bicicletta e, ben avvolto in una grossa sciarpa di lana, si affrettava a chiudere bottega appoggiando a terra un sacco pieno di pane avanzato dal pomeriggio. Intanto, dalla sua piccola casetta di sassi al civico numero otto, Filodora se ne stava immersa nei suoi pensieri e, con i gomiti appoggiati sul davanzale, teneva il viso tra le mani e osservava il tempo cambiare. Lo specchio accanto alla finestra rifletteva chiara la sua immagine: una bimba minuta, già grandicella, con occhi molto grandi e curiosi che illuminavano un simpatico visetto incorniciato da folti capelli del colore delle albicocche mature. Capelli raccolti in due lunghe trecce scompigliate e una frangetta che, pur coprendole la fronte, se ne pendeva tutta da un lato. Chi conosceva Filodora a fondo sapeva che quell’acconciatura sbilenca era il risultato di uno dei suoi improvvisi lampi di genio e dell’uso maldestro delle grandi forbici da cucito prima poggiate sul tavolo. Insomma, Filodora aveva un’abilità straordinaria: cacciarsi nei guai.
CAPITOLO 2 – UN ANTICO LIBRO
“Filodora vieni via da lì o stavolta rischierai seriamente di prenderti un bel raffreddore!”, esclamò preoccupata la mamma. La bimba, a quel richiamo, si tuffò nell’armadio, scelse un paio di maglioni colorati con il prezzo ancora attaccato e, dopo averli messi, sbuffò e tornò subito al suo posto. “Che cosa ci sarà mai oggi di diverso e di così tanto interessante là fuori?”, le chiese la mamma colpita da quell’atteggiamento. “Mamma, non è fuori che cerco… o forse è solo un po’ di noia…”, sospirò la bimba. La piazza dell’Anfiteatro, in quella manciata di istanti, appariva vuota e ormai là fuori non girava più nessuno. Pareva quasi che il forte vento fosse stato capace di spazzare via tutto quanto. Filodora, scontenta, si allontanò dalla finestra e la chiuse, si tolse i maglioni che gettò sulla sedia e, dopo aver acceso la lampada sul comodino, afferrò una matita appuntita e si diresse verso la libreria in fondo alla stanza. Ammucchiò sul lato di una mensola una pila di libri e si arrampicò sulla biblioteca come una vera alpinista. Al suo passaggio frane di pesanti volumi finivano per tonfare a terra uno sull’altro. Scaffale dopo scaffale, decisa, ma anche con un bel po’ di imprudenza, Filodora raggiunse la vetta dell’ultimo ripiano, allungò il braccio e finalmente afferrò soddisfatta quello che cercava: un grosso volume dalla copertina rivestita in pelle: “Ahh, Cercavo proprio te! Caro amico, oggi la giornata è noiosa e non finisce mai, e allora mi è venuta l’idea di iniziare un nuovo lavoro che, col tuo aiuto, stavolta voglio fare tutto da sola!”, esclamò, rivolgendosi al libro. “Mi sento pronta per dimostrare a tutti che sono grande ormai, e che sono capace di cucire una bellissima bambola di pezza. Già me l’immagino: mi somiglierà e porterà il mio nome!” Il libro, al quale Filodora parlava, era un oggetto al quale la bimba era molto legata, perché le era stato donato da sua nonna quando era ancora molto piccola. Tra le righe scritte a mano di questo antico librone si celava un prezioso tesoro e tante tante storie. Pagina dopo pagina, infatti, erano descritti tutti i segreti degli usi e delle abitudini più antichi del paese e poi tutte le arti e i mestieri di una volta che, piano piano, stavano per scomparire. Tra le tante cose raccontate tra le pagine di quel libro, Filodora si era subito innamorata della nobile arte del cucito e del rammendo e, imparandone con pazienza i preziosi suggerimenti, aveva iniziato a dilettarsi in piccole riparazioni di giocattoli, fino a che era stata capace di realizzare con le sue mani vere e proprie bambole di pezza. Tanto tempo prima, la nonna aveva subito capito quanto fosse brava la nipote. Per incoraggiarla a non rinunciare, come spesso capita ai fanciulli della sua età, le aveva regalato un grande cestino di vimini, contenente tutto il necessario per cucire. Filodora lo utilizza ancora oggi per dar vita alle sue meravigliose creazioni. “Ci sono! A questo punto mi serviranno solo dei pezzi di stoffa colorati per il vestito, un bel gomitolo di lana color albicocca per i capelli, degli stracci per riempirla e farle un corpo morbido, dei bottoni, qualche ago, il rocchetto e molta fantasia!”, pensò la bimba facendo dondolare la matita stretta tra le labbra. Presa dallo slancio, si intrufolò nel baule e prese tutto ciò che pensò necessario. Ma, prima di iniziare a cucire, si sedette sulla sedia decisa a disegnare prima la bambola su un foglio di carta. Le bastò poco, tuttavia, per rendersi conto di non essere abbastanza concentrata. Il foglio bianco le trasmetteva un po’ di disagio e mille idee le balzavano in mente tanto da non saper più da dove iniziare. Testarda, non si arrese, si armò di pazienza e di una grossa gomma da cancellare, e con tenacia si avventurò in una serie innumerevole di tentativi. Dopo diversi pasticci, e spazientita per non essere riuscita a combinare un bel niente, aprì il suo libro. Filodora era sicura di trovare, almeno tra quelle pagine vecchie e ingiallite, tutti i suggerimenti necessari per riuscire a sbloccarsi. Con mano ferma, infatti, lo spalancò alla pagina 33, aprendolo all’Indice dell’Arte del Cucito. Le pagine, però, le sembrarono all’improvviso aumentate di numero e, anche quelle regole che pensava fino a pochi attimi prima di conoscere perfettamente a memoria, si stavano ingarbugliando sotto i suoi occhi, prendendo forme strane che le apparvero incomprensibili. “Ma cosa mi succede oggi!”, pensò fra sé e sé scuotendo le spalle e strofinandosi, incredula, gli occhi. La piccola un po’ scoraggiata, richiuse il libro, si alzò dalla sedia e finì per lanciarsi sul letto, rimbalzando più volte sul materasso. Si mise comoda con la testa appoggiata sull’angolo del cuscino e, con il volto rivolto verso il soffitto, tese fra le mani il foglio che riportava l’ultimo disegno che aveva fatto e lo fissò a lungo. Proprio mentre stava per farne una pallina da buttare via, venne interrotta dal suono secco di tre colpi e poi ancora altri tre più veloci. Balzò a sedere sul letto prima di rendersi conto che stavano bussando con insistenza al vetro della finestra della sua camera. Saltò in piedi come un gatto e le si avvicinò. La schiuse appena e chiese: “Chi c’è lì fuori?” “Io, mi chiamo Moderno…”, e si udì la voce lieve di un buffo bambino che, in punta di piedi, tentava di allungarsi schiacciando il naso contro il vetro. “Moderno? Che nome curioso hanno scelto per te i tuoi genitori!”, disse sorridendo Filodora: “Cosa fai lì fuori con questo vento e a quest’ora? Arrivo in un battibaleno. Aspettami lì!” La bimba si precipitò correndo attraverso il corridoio, raggiunse la porta di casa, girò la grande chiave all’interno della toppa e aprì. “Ehi sono qui, mi vedi? Ma dove sei?”, esclamò impaziente. Non vedendo arrivare quel bambino, decise di uscire. Prese il cappotto blu di sua madre appeso proprio lì vicino, se lo mise sulle spalle e scese i tre gradini di granito che portavano direttamente nella piazza, con ai piedi solo un paio di calzini. “Eccomi!”, disse lui raggiungendola. Si trovò faccia a faccia con quel bambino che, fermo immobile davanti a lei, tenendo stretto a sé un piccolo zainetto, la fissava senza dire una parola. I loro sguardi si incrociarono colmi di curiosità. Per alcuni istanti regnò il totale silenzio, interrotto solo da Filodora che, con il suo modo rumoroso di fare, gli afferrò una mano, spalancò la porta e lo trascinò dentro casa con decisione. “Filodora cosa stai facendo?”, chiese la madre della bimba che aveva appena sentito chiudere la porta. “Niente mamma, è passato a trovarmi un mio amico con un orsetto da riparare con urgenza. Stai tranquilla!”, rispose lei. La donna non aggiunse altre domande, abituata com’era ad avere la casa frequentata da tanti piccoli amici. Sua figlia era una bambina dall’animo ospitale e generoso e, inoltre, era un’abile sarta. Ogni bambino della Valle le aveva fatto visita almeno una volta, per chiedere la riparazione di un peluche o una bambola di pezza personale. La mamma a quell’ora, poi, di solito era seduta in sala tra pile di quaderni e mazzi di penne per aiutare la figlia minore con il ripasso dei suoi compiti. Filodora quindi, per non disturbarle, si diresse nella sua stanza, trascinando con sé il suo nuovo amico, confuso e sopraffatto da questo uragano di bambina. “Non far caso al disordine che c’è nella mia camera e non dirmi che tu sei uno di quei tipi tutti precisi… Io siccome sono piena di idee disordinate, sono disordinata anche nelle mie cose. Poi, per me, oggi, è un giorno particolare e devo ammettere di essere più inquieta di quanto già non lo sia di natura!”, gli confidò accostando con cura la porta. “Non preoccuparti, sono io ad averti raggiunta senza nemmeno darti un preavviso”, le rispose il bambino stringendo sempre più forte lo zaino fra le mani. “Beh, anche così, devo solo ringraziarti di questa visita. Se tu non fossi venuto da me, avrei passato ore e ore sfogliando questo libro senza capirci un bel niente. Avrei atteso solo che arrivasse la notte per avere, dalla finestra, un pezzetto di cielo tutto per me… Adoro le stelle e, se il cielo fosse di carta come lo sono queste pagine, ne strapperei un angolo e sarebbe davvero tutto più divertente!”, esclamò Filodora sorridendo. Detto questo, si allontanò di qualche passo dal bambino, prese il libro da sopra il letto e andò ad appoggiarlo sulla scrivania, dove nel frattempo cercò di farsi un po’ di spazio per iniziare a lavorare. “Dimmi un po’, Moderno, a cosa devo questo onore? Che cosa devi riparare?”, gli domandò, dando per scontato che quello fosse il motivo della sua visita. Tese la mano verso di lui e il bambino, come impaurito, fece rapidamente un passo indietro e ritirò di colpo il suo zaino. “Tu sai cucire?”, le chiese lui timidamente. “Che domanda!”, sbuffò la bambina, quasi offesa da quella serie di atteggiamenti insoliti. “Qui nella Valle dei Mandarini tutti conoscono le mie bambole e non immagini che numero infinito di giochi ho guarito! Non ti fidi?”, chiese. “No. Ti credo! Non volevo offenderti… Io… Io non ne sarei capace. Sai, quello che fai tu qui con i giochi di questi bambini sembra un po’ quello che fanno i dottori con i loro pazienti!”, le rispose Moderno. I due bambini erano talmente presi da quella discussione che non notarono che il libro, con lentezza, si stava sfogliando da solo, riaprendosi alla pagina 33, all’Indice Dell’arte Del Cucito. Quando i due se ne accorsero, Filodora chiese a Moderno: “Sei stato tu ad aprirlo? Sono sicura di averlo messo qua sopra solo un attimo fa e sono altrettanto sicura di averlo chiuso… Se mi hai fatto uno scherzo segui il mio consiglio, lascia perdere questo volume e non mettertici anche tu a complicare le cose: oggi non riesco a studiare queste pagine, ma sarò capace ugualmente di riparare il tuo giocattolo!” Moderno fece silenzio, colpito da quella scena, e, lì per lì, non seppe bene cosa rispondere. Filodora chiuse nuovamente il libro e, aiutandosi con la sedia, lo appoggiò sulla mensola più in alto quasi per nasconderlo. Ma fu in quel momento che il libro si ribellò, si scosse e le cadde dalle mani. Poi, finì per rimbalzare sulla scrivania e le sue numerose pagine iniziarono a sfogliarsi ancora una volta sotto i loro occhi increduli ritornando di nuovo ad aprirsi alla pagina 33. “Ma come è possibile?”, esclamò la bimba saltando sul volumone e chiudendolo con forza. Poi, rivolgendosi a quel libro, lo rimproverò: “Oggi tu vuoi farmi proprio perdere la pazienza!… Mi hai insegnato davvero molte cose fino a ora e io, di questo, te ne sarò sempre grata, ma questo non giustifica un tale comportamento!” Dopodiché sbuffò, convinta, forse, che il libro avesse potuto davvero sentirla e, spazientita, diresse lo sguardo verso il suo amico per cercare in lui un po’ di comprensione. “Moderno, come riesci a non stupirti e a rimanere così indifferente? A questo punto mi viene da pensare che il libro abbia capito che tu devi riparare con urgenza qualche cosa e che, forse, non hai il coraggio di parlarmene!”, gli disse con uno sguardo indagatore. Il bambino, immobile, seguitò a fare scena muta e strinse sempre più forte il suo zaino tra le braccia. “Dai, Moderno!… Rispondimi ti prego! Non fare il timido…”, lo pregò lei. Ma, mentre Filodora cercava a tutti i costi di ottenere una risposta dal suo nuovo timido amico, le pagine del libro si ribellarono ancora sfogliandosi arruffate sempre più in fretta, prima da una parte e poi da quella opposta. Ora sembravano del tutto impazzite e fuori controllo. Osservando quella scena all’improvviso impaurito, il bambino si scosse e, rivolgendosi a Filodora, le chiese d’un fiato:
“Senti, lo so che sto per farti una domanda da pazzo, ma ti riuscirebbe di riparare anche la luce del giorno?” “Sì. No! Ma… Ma scusa, che domanda è?”, rispose spiazzata la piccola.
“Ascolta, ti assicuro di aver viaggiato parecchio per arrivare fino a qui, ma non ho molto tempo…” “Se hai fatto così tanta strada, sono certa che un motivo dovrà pur esserci…” Ma, mentre Filodora cercava di capire quel suo nuovo amico così strano, il suo sguardo fu catturato di nuovo dal libro, dal quale le pagine stavano iniziando addirittura a staccarsi scivolando in giro per la stanza. La situazione si stava facendo sempre più seria. Filodora, nonostante la preoccupazione che stava provando, si sforzò di riportare la sua attenzione verso il bambino, cercando di mantenere il più possibile la calma. Moderno, intanto, si era chinato a raccogliere da terra una manciata di pagine, quelle che aveva trovato più a portata di mano. Le rimise nel libro e poggiò con forza la sua mano sulla sua copertina, per non lasciarlo aprire ancora. “Filodora, ascoltami, ti prego: vengo da un mondo simile al tuo come tanti altri e presto dovrò ripartire. Sono qui per spiegarti che un essere, il Signor Bollasogni, sta facendo scendere il buio in molte città e luoghi che prima erano luminosi e sorridenti e adesso sono oscuri e tristi.” “Ma io riparo bambole, orsacchiotti e giocattoli, come posso aggiustare una situazione simile?!”, protestò Filodora. “Chi mi ha mandato era convinto che tu fossi la persona giusta, Filodora, e ora, dopo averti vista, ne sono convinto io stesso! Vedi, si tratterebbe di andare nel posto in cui il Signore ha cominciato e…” “E perché non sei andato tu? Del resto, potresti arrivarci nello stesso modo in cui sei arrivato qui da me!” “Perché la notte ha quasi conquistato anche il mio mondo e poi posso spostarmi con rapidità solo nello spazio, ma non nel tempo”, le spiegò Moderno. “E tu sei magica!” “Io? Ma se…”, Filodora non aveva ancora iniziato a ribattere al bambino che, all’improvviso, la finestra si aprì e una corrente indomabile investì tutta la stanza, spalancando con forza la finestra. Le poche pagine ancora rimaste incollate al libro non resistettero e si strapparono del tutto. Nella camera, ora, regnava un gran caos: le persiane sbattevano violentemente tra loro e così le ante dell’armadio; i cappelli colorati appesi sull’appendiabiti cominciarono a volare in aria e, dopo qualche giro e capitombolo, si sparsero in terra. E poi si ribaltarono anche cornici, quadri e soprammobili e persino la Dormisveglia – la sveglia di Filodora che non aveva mai funzionato e che da cinque anni riposava indisturbata sul comodino –, scaraventata sul pavimento, si accese e iniziò a trillare senza fermarsi più. Filodora fu costretta a inginocchiarsi e, facendosi largo tra i vari oggetti e vestiti finiti a terra, si diresse verso la finestra e, con un balzo, la chiuse. Tirando un lungo sospiro, si voltò per scusarsi con Moderno. Ma del suo nuovo amico non c’era più nessuna traccia. Sulle prime, pensò che si fosse nascosto da qualche parte. Intanto, anche il prezioso cestino da cucito di Filodora s’era ribaltato a terra e il rocchetto di cotone con il quale la bimba era solita cucire si era srotolato come la coda di un topo. Filodora raccolse il cestino e, dopo aver riposto al suo interno tutte le cose che erano uscite fuori durante quel caos, se lo mise al braccio. Ma, quando fece per raccogliere il rocchetto, appena tentò di riavvolgerlo, quello iniziò ad allungarsi e a crescere sempre più veloce. Si liberò dalle sue mani, rotolò a terra e, in pochi istanti, divenne enorme fino a toccare il soffitto. Poi, allungando i suoi fili si attorcigliò attorno a scarpe, cuscini, lenzuola e a tutto ciò che gli capitasse di incontrare. Avvolse completamente ogni cosa dentro alla stanza, compresa Filodora stessa che, sorpresa dalla velocità del rocchetto, non era stata in grado di impedirlo. “Filodora, ma cosa sono tutti questi rumori?”, gridò la madre, a un certo punto, dalla sala. La bimba era intrappolata e non poteva muoversi avvolta stretta dal suo rocchetto di filo. Pensò che, se la mamma l’avesse vista così, avrebbe sicuramente preso provvedimenti e, molto probabilmente, il suo caro e amato rocchetto avrebbe rischiato di esserle sequestrato. Forse anche allontanato dalla Valle come La bimba, impensierita, iniziò a pregare che la madre non si avvicinasse per controllare che cosa avesse causato quel trambusto: “Non è successo niente mamma, è solo entrato un gatto dalla finestra ed è scappato via ribaltando tutto per terra!”, balbettò. “E perché hai questa voce così strana Filodora?”, le chiese la madre insospettita. “Ah, eh… È che sto mangiando un mandarino e ho la bocca ancora piena!”, rispose lei trattenendo il respiro. Stringendo i pugni e con il cuore che le pulsava così forte da Oggetto troppo pericoloso sentirne ogni singolo battito, Filodora restò immobile e in silenzio ad aspettare che, da un momento all’altro, la madre aprisse la porta vedendola così ingarbugliata in quella matassa. “Va bene! Ma tenete chiusa la finestra che inizia a far veramente troppo freddo fuori e cercate di fare meno rumore, altrimenti la piccola vuole raggiungervi e non riesce più a finire i compiti!”, le gridò la mamma dalla sala. Insomma, fortuna volle che la mamma non si avvicinasse alla sua camera. Filodora a quel punto tirò un grosso sospiro di sollievo e, divincolandosi tra i fili di cotone, con fatica provò a liberarsi da quelli che la intrappolavano. “Ma guarda questo rocchetto cosa è riuscito a combinare in pochi istanti!” esclamò desolata. “Moderno… Moderno dove sei finito? Ti chiedo scusa, non era mai accaduta una cosa del genere prima d’ora… Il rocchetto rimane giornate intere dentro al cestino – giuro! – e non è mai accaduto che abbia avuto questo atteggiamento… Non l’ho mai visto così impazzito prima d’oggi… Lo vedi che non mi sbagliavo affatto quando dicevo che oggi è una giornata strana? Dai, fatti vedere, non nasconderti per favore… Ti supplico, non prendertela con me se le pagine del mio libro sono andate tutte perse e io sono finita nel gomitolo di filo del mio rocchetto e non riesco nemmeno a muovermi per venirti a cercare.” E, così dicendo, strofinandosi gli occhi con la manica del maglione, pensò di aver perso in pochi istanti tutte quelle che erano le sue certezze, compreso il suo nuovo amico. Ma, mentre continuava a tentare di liberarsi, non molto distante da lei e annodato ad altri oggetti, Filodora intravide il suo zainetto scuro che, subito, catturò la sua attenzione. Con un bel po’ di fatica riuscì ad afferrarlo e a portarlo verso di sé aiutandosi con la punta del piede. “Non è bello spiare tra le cose altrui…”, si disse tra sé quando lo ebbe finalmente fra le mani. Lo aprì comunque. All’interno, lo zainetto era vuoto, eccetto per un foglio, sul quale con dei caratteri strani, era riportata una sola frase: Vorrei che il cielo fosse di carta, per poterne strappare un piccolo angolo e averlo sempre con me… “È assurdo” pensò, “come ha fatto questo bambino a sapere di questo mio desiderio ancora prima di incontrarmi? È vero, gliel’ho detto io, ma lui non ha mai tirato fuori dal suo zainetto un foglietto per scriverci qualche cosa. Dunque, deve averlo scritto sul foglio quando non ci eravamo ancora conosciuti…”, ragionò scuotendo la testa. Dopodiché, prese il foglio, lo ripose nello zaino e chiuse la cerniera. “Non voglio aprire più quello zaino!”, pensò così fra sé e sé quasi offesa. Ma, mentre pronunciava queste ultime parole, lo aprì di nuovo, riprese quel foglio fra le mani e, senza sapere perché, disse: “Senza farti del male, adesso ti strapperò un solo angolo, e così sarai tu stesso a diventare un angolo nuovo di cielo tutto per me!”, esclamò. La bimba fece come aveva detto e staccò delicatamente un angolo da quell’unica pagina. Da quel momento, però, non ebbe il tempo per dire altre parole perché, con il cestino da lavoro sottobraccio, si trovò improvvisamente sospesa nel mezzo di un cielo rosso all’orizzonte e stellato. In quel luogo regnava solo il silenzio e non si sentiva volare nemmeno una mosca. L’intera Valle dei Mandarini e la sua camera disordinata erano sparite. Intorno a lei, a tenerle compagnia, era solo un mare infinito di stelle luminose, così tante da non riuscire a contarle e così vicine che, allungando la mano, avrebbe potuto toccarle.