I segni dell’alba
Quando Andrea e la sua ragazza di origini arabe spariscono, ingoiati dal nulla, nelle ricerche che seguono, prende corpo un attivismo generalizzato e nella tragedia spicca la speranza a riscoprirsi migliori.
Prezzo: 19,00€ (Iva Inclusa)
Dettaglio
Codice ISBN | 979-12-80369-23-9 |
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llustrazioni di copertina | Salvatore Garzillo |
Prima edizione | Luglio 2024 |
Numero pagine | 1052 |
Anteprima
Questi provetti sganciatori di lucchetti sono i protagonisti d’un film d’azione. Il giusto contraltare a quello che va in onda quotidianamente sulle corriere, che scivolano sulla strada provinciale in direzione delle scuole, in città. Ai finestrini proiettano bruma o nebbia o brutto tempo, che impastano tutto. Le altre macchine spruzzano smog umido e l’autobus, che può lavarsi solo di rado, romba che sembra rimproverarli. È la solita replica, una pellicola di terz’ordine ripetuta tutte le volte. Eccoli i campi, dalle gradazioni di verde, che paiono essere lì a faccia seria. Sono gli antagonisti d’un film-drama, che segue le sorti del contadino. Questi è come uno sfruttatore: la terra è messa al lavoro a cottimo per gran parte dell’anno, con solo qualche settimana di ferie in inverno. A chi verrebbe voglia di ridere? I campi arrabbiati stanno lì a sporcarsi, di nebbie unte, di fumo e di piogge acide, senza ombrelli o tele cerate di sorta. L’agricoltore, costretto ai suoi calcoli meschini, potrà anche dire di amarla questa terra ma certo non comprenderla.
Di solito, nella testa di Andrea, non c’è l’ambiente con le sue esigenze. Sì, magari ci stanno i suoi progetti strampalati… Ma la cosa più forte, accampata pressappoco tra l’ipotalamo e il cuore, è una domanda che chiede: «Che ci faccio io al mondo?» Quesito complicato! Da spingere in fondo, per convincersi che non è da porsi. Però, se non sei forte abbastanza, questo riaffiora ciclicamente, come le plastiche inquinanti dalla profondità dei fossi.
La risposta che più spesso si dà è di quelle ultra-banali ed ovviamente fuorvianti: «Al mondo ci sono per far soldi!» Quindi rimette in moto gli ingranaggi con la benzina del progetto di furto e rivendita di biciclette. Poi qualcosa ancora si incastra, tra il realismo, l’ottimismo dovuto e il pessimismo latente. E il parto è una contorsione del tipo: «Beh, forse sto al mondo semplicemente per vivere bene… Ma non ci metterei la mano sul fuoco… Diciamo che è più sicuro dire che io sia qui per via dei soldi… Ecco, questo basta!»
Se poi accanto ci sta Icio, questi nota sempre qualcosa, scruta bene il fratello e gli chiede: «Ma che c’hai?!» La risposta di circostanza: «Nulla!» La sentenza finale: «Mamma, che sfigato!» Andrea di quelle parole se ne frega. Lui è un tipo alto, forse fuori misura per la sua età. Però è magrolino e col volto allungato: se proprio si vuol dire, è di aspetto anonimo. Troppo anonimo! Come riconosce guardandosi allo specchio, che non dà semplicemente un’offesa bonaria e gratuita come fa suo fratello, ma la realtà. Eppure Andrea è incapace di progettare qualsiasi cambiamento, pur spaventato dall’ipotesi di essere brutto e infine autoconvincendosi: «Anonimo non vuol dire orribile!»
Tra i suoi pari Andrea mette Giacomo. Un ragazzo che piglia la corriera alla stessa pensilina ed abita anche lui in paese. I saluti tra i due scattano senza timidezza: «Giacomino, bello… Com’è ?» «Tutto a posto!» La risposta.
Altro ciarpame di parole detto sui sedili del pullman; poi, navigando oltre il Terminal, eccoli in mezzo alla massa di ragazzini cinguettanti, che finiscono per assieparsi sotto un porticato goffo che è l’ingresso alla loro scuola. Pare giorno di mercato, ma è sempre così. Il vociare ad alto volume oscura il rumore del traffico della strada vicina. Le risate sono gridate e a distinguersi ci stanno quelle dalle ragazze. Andrea è finalmente un pesce nel suo stagno. Si diverte in mezzo agli amici. Fa lo smorfioso senza invadenza con le femmine, le guarda curioso e vorrebbe che tutto si fermasse a quell’istante. «Hai visto la partita ieri sera?» si rivolge a Giacomo. «Certo… Ma quel pistola di portiere, non ce la faceva proprio» risponde l’amico. «Tu avresti fatto di meglio? Eppure andavi a farfalle sabato scorso, al campetto in oratorio» dice Andrea, poi tocca con la sua spalla quella dell’amico, tanto per far crescere complicità. I due ridono, dopo di che guardano assieme una bella bionda che attraversa la provinciale. Gli sguardi diventano maliziosi ma durano secondi poi di nuovo bambini a giocare con le parole e le idee. «Forse ho trovato un modo per far qualche soldo facile» butta lì Andrea. «Rischiamo di avere i Carabinieri a casa?!» Domanda ridendo Giacomo. «Non dire pirlate…» Lo riprende l’altro e tira lo sguardo lontano, verso i balconi delle brutte case che stanno lì attorno. Poi riprende: «Guardali a quelli… Arrivano dalla stazione sempre con biciclette diverse. Perché i carabinieri non se ne occupano?!» «E che ne so io!» risponde Giacomo. Andrea: «Ma perché hanno cose ben più importanti da fare. Non le senti le notizie?» «No… Non me ne importa. E allora?!» Riprende quell’altro, sfrontato per gioco. «Ma piantala!» Lo sgama Andrea, che poi aggiunge: «Ascolta! C’è un modo più intelligente di usare quegli affari una volta fatti saltare». «Beh, sono biciclette rubate. Che ci vuoi fare, rivenderle?» La domanda, poi lo squillo della campanella e la risposta: «Adesso ti spiego!» mentre tutti e due se na vanno col plotone che sta scorrendo nell’ingorgo diretto alle aule.
I Segni dell’Alba, Fabio Abati (Cap. 1)